LA STRATEGIA CREATIVA

SCELIERE UNA STRATEGIA CREATIVA

di Alessandro Garro
Aggiornato al 12.05.2012

I “FORMAT” DELLA COMUNICAZIONE

La strategia creativa si concretizza nella scelta degli argomenti, nel modo di argomentare, nel tono di voce che si usa, nello stile della comunicazione, e l’insieme coerente di scelte rappresenta un “format”.


I due “format” di strategia creativa più usati in pubblicità (che corrispondono ai due più diffusi orientamenti delle aziende clienti) sono:

  • PRODUCT ORIENTED

    Comunicazione realizzata dal punto di vista delle prestazioni del prodotto.

  • CONSUMER ORIENTED

    Comunicazione realizzata dal punto di vista del beneficio ricercato dal consumatore.


Nel primo caso, il “che cosa fa il prodotto” si concentra sulle sue prestazioni, le performance o il risultato oggettivo delle sue prestazioni, cioè la “promessa” del prodotto.

Nel secondo caso, il “che cosa fa il prodotto” si focalizza invece sul vantaggio o il beneficio soggettivo (non di rado soprattutto emotivo) che il consumatore ottiene per sé grazie alle prestazioni del prodotto.

Mentre la pubblicità dei beni industriali, destinati alle aziende, è prevalentemente “product oriented”, coerente con l’approccio concreto del tecnico che decide l’acquisto, per quella dei beni di consumo si tende ad utilizzare appena possibile un format “consumer oriented”, che vede protagonista il beneficio al cliente, in quanto permette una comunicazione di più intenso impatto emotivo, efficace nei mercati di consumo.

Un format si esprime attraverso una serie di elementi codificati. Alcuni di essi sono esplicitamente presenti nell’annuncio pubblicitario o nella pagina Web, ma la maggior parte sono impliciti, però tutti vengono tenuti in considerazione da chi idea, realizza e gestisce la campagna di comunicazione.


Essi sono:

  1. POSITIONING STATEMENT

    Dichiara che cosa è il prodotto, a chi si indirizza, che cosa fa, come lo fa, perché lo fa.

  2. TARGET GROUP

    Dichiara il target specifico di quella comunicazione, che sia campagna pubblicitaria tradizionale o azione su Internet.

  3. MAIN CONSUMER BENEFIT

    Esprime il vantaggio che il consumatore riceve da ciò che il prodotto fa, cioè in che cosa e come le prestazioni del prodotto si traducono in un personale vantaggio (anche emotivo).

  4. REASON WHY

    Esprime la ragione del vantaggio ottenibile e cioè le prestazioni stesse del prodotto, che giustificano e rendono credibile il vantaggio promesso, espresso ad esempio con il vantaggio tecnologico del prodotto sui concorrenti che rende credibile promettere il main benefit.

  5. SUPPORTING EVIDENCE

    Esprime in pratica un elemento di rafforzamento della promessa, di cui fornisce una prova o una dimostrazione. Può non esistere in una campagna su mezzi tradizionali, mentre è essenziale in una comunicazione sul Web, con la possibilità di accedere a pagine di approfondimento, demo, FAQ, magari un forum di utilizzatori.

  6. TONE AND STYLE

    Rappresenta e descrive l’elemento formale della strategia creativa e cioè il come si presentano le argomentazioni circa il prodotto e i suoi vantaggi, in termini di linguaggio, grafica, colori, immagini, musiche, ecc..



L'OBIETTIVO DELLA COMUNICAZIONE

Nella scelta della struttura e del taglio da dare alla comunicazione pubblicitaria, la guida è fornita dagli obiettivi specifici:

  • Che cosa vogliamo che il consumatore noti: elenco in ordine di importanza delle caratteristiche fisiche del prodotto che si vuole che il consumatore veda, senta e ricordi.
  • Che cosa vogliamo che il consumatore creda: descrive le conclusioni che vogliamo che il consumatore tragga da quello che vede e sente.
  • Che cosa vogliamo che il consumatore provi: sottolinea quello che si vuole comunicare a livello emozionale.

L'ARTICOLO PROSEGUE SOTTO LA PUBBLICITA'


IL PROCESSO CREATIVO

Uno dei pionieri nello studio della creatività (oltre che fondatore di una grande agenzia di pubblicità) è stato Alex Osborn.


Secondo Osborn il processo creativo segue due fasi:

  1. Scoperta del fatto: definizione del problema del cliente su cui fare leva, scelta e inquadramento del problema, raccolta e analisi dei dati pertinenti
  2. Scoperta dell’idea: elaborazione di idee sperimentali che offrono degli spunti, selezione di idee risultanti, rielaborazione delle idee valide mediante modificazione, combinazione, ecc.

La principale difficoltà dei creativi pubblicitari è la produzione di idee originali, e normalmente creare idee è più facile in un gruppo, dove sono collettivamente disponibili informazioni e associazioni mentali più o meno libere. Ma spesso sorge la difficoltà di riuscire a superare gli aspetti inibitori del comportamento di gruppo che condiziona i partecipanti, specie in una realtà aziendale formalizzata.

La dinamica che si crea è familiare a chiunque abbia pratica di riunioni aziendali: se in una riunione l’obiettivo individuale è fare “interventi intelligenti” senza rischiare brutte figure, di solito si assisterà ad interventi scontati e banali, mai a idee originali.

Una tecnica per incoraggiare il libero flusso delle idee in un gruppo è il “brainstorming”, ideato proprio da Osborn, che consiste nel riunire un gruppo di 6-10 persone che si concentrano su un problema creativo per generare idee.

La regola cardinale del brainstorming è che durante la riunione ogni critica è proibita; la valutazione delle idee viene rinviata a dopo. Più strana è l’idea proposta, meglio è, perché può stimolare una nuova associazione che farà scattare un’idea forse utile.

I partecipanti sono incoraggiati a costruire poi sulle idee che emergono combinandole e migliorandole, sempre senza critica. L’atmosfera è positiva e rilassata.

L’obiettivo è la quantità di proposte, sulla base dell’assioma che tra molte (spesso centinaia) di idee emerse, molte assurde, sicuramente ce ne sarà però qualcuna buona e originale che non sarebbe emersa in altro modo.


DIGRESSIONE SULLA LINGUA UTILIZZATA

I termini utilizzati in pubblicità sono quasi sempre inglesi (o, meglio, americani) e non tradotti anche se riguardano realtà italiane. La tradizionale preferenza linguistica dei pubblicitari per l’inglese si spiega con la storia, e merita una breve digressione.

La prima pubblicità di massa, detta “réclame”, si è sviluppata soprattutto in Francia tra l’Ottocento e i primi del Novecento del secolo scorso, e ha visto l’opera anche di artisti di valore (basti pensare al grande Toulouse-Lautrec), ma si è fermata all’approccio artistico e comunicativo, senza uno sforzo consapevole di ricerca di marketing.

Invece l’advertising, cioè la pubblicità moderna intesa come elemento integrato nel marketing mix, coerente e conseguente ad una analisi del mercato e del consumatore, è nato e si è sviluppato negli Stati Uniti dagli anni ’20 del secolo scorso in poi, in concomitanza con lo sviluppo di tutti gli aspetti tecnici del marketing.

La conseguenza è che per la pubblicità la letteratura, le pubblicazioni e le pratiche più significative sono redatte in lingua inglese, anche se magari riguardano una campagna pubblicitaria svolta in Italia da una azienda italiana.

Paradossalmente, ma non troppo, si potrebbe dire che se i pubblicitari francesi dell’inizio del Novecento avessero saputo ragionare in termini di marketing tecnico invece che soltanto di comunicazione creativa, adesso la pubblicità mondiale parlerebbe francese.

 
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